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Le campane della Collegiata

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Mauro Ioli
Ariminum. Storia, arte e cultura della Provincia di Rimini, anno XXVIII, n. 2 (161), marzo – aprile 2021, pp. 31-32.


«Quando i rintocchi delle campane dalla chiesetta montana inondano la valle oppur salgano nell’azzurro del cielo, il petto si allarga e sente d’essere molto più ampio di quanto altrimenti credesse […]. Qui si percepisce la vastità. Come essa sia un dilatarsi dell’anima, un ipertendersi, un rispondere all’invito lontano della infinità»: così scriveva il grande filosofo e teologo cattolico Romano Guardini nel 1922 (I santi segni, ed. it., Morcelliana, Brescia 1960, pp. 101-102).
Una moltitudine di persone ha udito il suono delle campane della chiesa Collegiata di Santarcangelo di Romagna, ma pochi privilegiati le hanno potute ammirare da vicino. Dall’inizio del secolo scorso quelle cinque campane hanno disseminato, sulla cittadina «alta e ridente», come la chiama Stefano Tamagnini, e oltre, i loro rintocchi, migliaia e migliaia di volte: ora però sono zittite, legate e silenziate. Infatti, anche per questi vetusti manufatti si è resa necessaria una doviziosa opera di restauro a cura di esperti maestri “campanari”.
Sono state perciò accuratamente smontate per passare nelle mani di abili restauratori nell’ambito del più ampio intervento di consolidamento strutturale e architettonico del campanile che le ha a lungo ospitate, sorrette e protette.
Si è pensato, inoltre, di mostrarle alla comunità parrocchiale e a chi fosse interessato a vederle finalmente da vicino, a conoscerle, a studiarle. Da qui la decisione di esporle prima di sottoporle all’azione di restauro. Un intervento che potrebbe essere eseguito in parte sul posto (a terra) anziché al chiuso di una lontana officina o di un polveroso laboratorio, almeno per le attività che non richiedano ritocchi di fusione o rifacimento di battagli.
La fusione della più piccola delle cinque campane risale al 1901, mentre quella quinta avvenne nel 1908, sempre a cura della Fonderia bolognese di Cesare Brighenti, come riportano le iscrizioni latine sia della campana più antica e minore («CAESAR BRIGHENTI BONONIAE FUDIT A.D. MDCCCCI»), sia delle quattro maggiori, («CAESAR BRIGHENTI BONONIAE FUDIT / AERE FIDELIUM A.D. MCMVIII»).
Tali diciture c’informano, con l’espressione «AERE FIDELIUM» che i parrocchiani ebbero una non piccola parte nel contribuire alla realizzazione delle campane: ora saranno i loro discendenti a godere lo spettacolo della loro vicinanza, potendole esaminare a breve distanza, e quasi toccarle, nel loro silenzio.
Tuttavia tali iscrizioni, incise nel bronzo delle diverse campane sono anche un sofisticato programma di devozione, di preghiera e di richiamo alla protezione dei Santi.
La campana maggiore (nota SOL bemolle) sotto l’immagine del Santo Crocefisso e del Calice con il Santissimo Sacramento, a lode implicita del Verbo eterno e incarnato, porta l’iscrizione in latino «CHRISTUS HERI ET HODIE / IPSE ET IN SAECULA», cioè «Cristo, ieri e oggi e nei secoli».
La seconda campana (nota LA bemolle), sotto l’immagine della Beata Vergine del Rosario e di San Michele Arcangelo, a memoria della Madre di Dio, dell’Arcistratega delle armate celesti e di Sant’Agata, ai quali è consacrata la Collegiata, conserva la dedica latina, «REGINA SACRATISSIMI ROSARII ORA PRO NOBIS / SANCTE MICHAEL ARCANGELE DEFENDE NOS IN PROELIO / AGATHA FAC NOS CONSORTES TUI», ossia «Regina del Santissimo Rosario prega per Noi. San Michele Arcangelo difendici nel combattimento. Agata facci tuoi fratelli».
La terza campana (nota SI bemolle) sotto l’immagine della Madonna del Carmelo e di san Giuseppe con il Bambino, allusione complessiva alla Sacra Famiglia, porta l’iscrizione in latino «SANCTA MARIA DEI GENETRIX VIRGO INTERCEDE PRO NOBIS / BB. JOSEPH ANTONI ET SIMONI ORATE PRO NOBIS», cioè, ricordando anche la venerazione locale per sant’Antonio Abate e il beato Simone (detto Balacchi), «Santa Maria Vergine, Madre di Dio, intercedi per noi. Beati Giuseppe, Antonio e Simone pregate per noi».
La quarta campana (nota RE bemolle) sotto l’immagine di Nostro Signore Gesù Cristo e di sant’Antonio Abate, maestro dell’ascetismo cristiano d’Oriente e d’Occidente, custodisce l’iscrizione latina, «ERITIS SOCII MEAE PASSIONIS / EXEMPLO B. ANTONII», che tradotto significa «Sarete compagni della mia Passione sull’esempio del beato Antonio».
La quinta campana (nota SOL bemolle) porta, oltre alla “firma” del Brighenti, le effigi del Crocefisso di san Pietro Apostolo, di un santo Vescovo, di san Luigi Gonzaga, che evocano figure di culto universali per la cattolicità.
Ogni campana è decorata con fregi floreali e a festone, augurio di prosperità e di generose offerte al culto divino ed è sormontata da sei teste umane o ferine, che si dirigono ovunque (sei è il numero simbolico della creazione) a scacciare, forti e tonanti, i demonî che pongono l’assedio al mondo.
Dopo tanti rintocchi un poco di salutare riposo (un vero e proprio tacet) risulterà rigenerante per consentire a quelle antiche campane di ritornare al loro posto, lassù, nel campanile restaurato e consolidato, per diffondere e ribadire il loro suono per molti secoli ancora.

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