Subito a destra di chi entra, si trova la cappella del Fonte Battesimale dove alla parete vi è una rovinatissima tela con il Battesimo di Cristo (1600-1699).

La navata della chiesa presenta sei cappelle laterali collegate fra di loro.
Partendo dal primo altare di destra si può vedere il dipinto I santi Antonio abate e Isidoro agricola, firmato da Giovan Francesco Nagli detto “il Centino” (doc. 1629-1675) e datato 1649, oggetto di un’antica e fervida devozione contadina per la quale i due santi erano protettori, fra l’altro, del bestiame e dei raccolti.

La presenza di Nagli Giovan Francesco, detto il Centino, così soprannominato per le sue origini da Cento, è documentata a Rimini dal 1629 al 1675. Assieme a Guido Cagnacci fu tra i più importanti artisti della pittura a riminese del XVII secolo.  Per le chiese di rimini realizza diverse pale d’altare, tra le quali l’Annunciazione di San Fortunato e il Santo Vescovo, oggi conservato presso la Pinacoteca comunale di Rimini. Viene influenzato dagli influssi reniani, attraverso la mediazione delle opere lasciate a Rimini ed in territorio marchigiano dal Cantarini. La pittura del Centino risalta l’umanità semplice e popolare dei personaggi sacri rappresentati e li pone al centro di un’ambientazione paesistica dal carattere evocativo.

Sant’Antonio abate nasce in Egitto nel 251. Conduce una vita in solitudine nel forte abbandonato di Pispir, dove supera le tentazioni del demonio. Nonostante la vita di asceta ha  numerosi discepoli e interviene in importanti questioni della Chiesa, a sostegno dei cristiani perseguitati da Massimino Daia e nella confutazione della dottrina dell’arianesimo. E’ solitamente vestito da eremita e accompagnato dalla presenza di un animale.

Sant’Isidoro agricola, rappresentato in abiti da contadino e con attrezzi agricoli, è il protettore di agricoltori e braccianti. Nato povero ma molto devoto, sopporta le gelosie e le invidie dei suoi compagni che lo accusavano di dedicare troppo tempo alla preghiera. Si racconta che un giorno il proprietario terriero presso cui lavorava pretese la consegna di tutto il raccolto del campo e gli vietò di pregare nelle giornate di lavoro, ma Dio moltiplicò il grano che era rimasto nel suo granaio.

Il secondo altare, appartenuto alla confraternita della Purificazione di Maria Vergine, ha un dipinto di Gaetano Mancini della bottega di Donato Creti raffigurante La presentazione di Gesù al Tempio datata 1731.

Il tema della presentazione di Gesù al Tempio si riferisce all’episodio del Vangelo descritto da Luca (Lc 2, 33-35) in cui Maria e Giuseppe portano il Bambino al Tempio di Gerusalemme quaranta giorni dopo la sua nascita, per “offrirlo” a Dio seguendo la cerimonia prescritta per tutti i figli maschi primogeniti.

Al centro della scena Maria porge Gesù a Simeone, mentre fanno loro contorno altre figure quali San Giuseppe e la profetessa Anna. In secondo piano si intravedono alcuni elementi architettonici che riportano la collocazione dell’episodio all’interno del Tempio. L’anziano Simeone accoglie dalle mani della Vergine il Bambino ed eleva una preghiera (Cantico di Simeone, Luca 2,29-32).

Sul terzo altare si apre una nicchia dove c’è la scultura di una Pietà realizzata da una bottega romagnola in cartapesta modellata e dipinta. La scultura, del primo quarto del XX secolo, mostra tutta la disperazione privata e solitaria di Maria mentre compiange il Figlio morto, poco prima di consegnarlo a Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo per la sepoltura.

Il soggetto non fa riferimento a nessun passo evangelico, ma è frequente trovarne la rappresentazione nei gruppi scultorei in legno o il marmo già presenti a partire dal XIV secolo, con una diffusione che va dalla Germania alla Francia, fino a giungere in Italia.

L’opera qui presente, datata verso gli inizi del secolo scorso, si trovava originariamente presso la Cappella Zampeschi, sull’altare sinistro. La chiesa era stata edificata in pieno Rinascimento  e aveva tre altari, andati poi distrutti in seguito al crollo del tetto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Tra la terza cappella e il transetto vi è il dipinto di Santa Rita opera di Cassanelli databile tra il 1932-37.

Proseguendo lungo la navata e tornando indietro verso il portale, nella terza cappella a sinistra, s’incontra la pala del bolognese Giuseppe Marchesi detto “il Sansone” (1699-1771) con La Madonna in gloria con santi del 1755, di un barocco mosso ormai tipicamente rococò, in cui Maria con il Bambino è affiancata dai santi Antonio abate, a sinistra del quadro, e da Antonio da Padova, a destra.

Sant’Antonio Abate, vestito da eremita, rivolge il suo sguardo verso l’osservatore e spalanca le braccia alla Vergine e al Bambino, come a volerci sottolineare il prodigio che si sta manifestando davanti a lui. Sant’Antonio da Padova è invece rappresentato in abito francescano, affiancato da un giglio bianco, mentre accoglie tra le sue braccia il Bambino. I personaggi del dipinto sono inseriti in un contesto sovrannaturale e tra schiere turbinose di angeli che accompagnano la Vergine nella sua gloria.

L’iconografia della Vergine in gloria rappresenta la sintesi dogmatica della doppia natura umana e divina acquisita dopo la morte e Assunzione in cielo. Si tratta di un’iconografia devozionale e simbolica, frequente soprattutto in età barocca e controriformistica, in risposta alle rigide posizioni teologiche sostenute dalla Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento (1545-1563).

Nel secondo altare di sinistra si può ammirare uno dei dipinti più affascinanti della Collegiata raffigurante San Giuseppe, Gesù e Sant’Eligio, opera di Guido Cagnacci, firmata e datata 1635. La pala fu dipinta per la Compagnia di S. Giuseppe e S. Eligio, protettori rispettivamente dei falegnami e dei fabbri, che si era appena costituita (1634).
Il Cagnacci è nato a Santarcangelo ed è stato battezzato nella vecchia Pieve di San Michele il 20 gennaio 1601. La sua famiglia, proveniente da Castel Durante (ora Urbania), dopo pochi anni si è trasferita a Rimini, dove anche il pittore ebbe lo studio dopo il suo rientro da un lungo apprendistato che si era svolto fra Bologna e Roma. La pala d’altare presente in Collegiata è una delle ultime realizzate nella zona dal pittore, e rivela bene, in contrasto con il gusto manierista ancora imperante, il suo interesse per le espressioni naturali e per i contrasti chiaroscurali. Sorprende veramente l’inedita bellezza del Bambino – che si sta costruendo una piccola croce -, oltre alla naturalezza del suo gesto e di quello, così carico di preoccupazione e meraviglia, di san Giuseppe.
Dall’altare della Compagnia presso l’oratorio di Santa Croce passò in Collegiata nei primi anni dell’ottocento.

Lungo la parte sinistra della navata si arriva, infine, all’ultima cappella dove è esposta la tela raffigurante San Gaetano da Thienedatabile al XVII secolo, la cui attribuzione al “Centino” è ancora controversa.

Della nobile famiglia dei Thiene, San Gaetano nacque a Vicenza nel 1480. Studiò diritto all’Università di Padova e venne chiamato a Roma da papa Giulio II per svolgere l’incarico di segretario particolare e di protonotario apostolico. Ispirandosi al discorso della montagna e al modello della Chiesa apostolica, san Gaetano rinunciò ai beni materiali per dedicarsi alla vita comune, all’apostolato tra i poveri e alla restaurazione della vita sacerdotale e religiosa. Portò la Compagnia del Divino Amore a Roma dove, nel 1524, fondò la Congregazione dei chierici regolari dei Teatini.

L’Ordine dei Teatini venne introdotto a Rimini a partire dagli anni successivi al Concilio di Trento, in seguito alle nuove esigenze pastorali promosse dalla riforma della chiesa e dai vescovi diocesani. La loro presenza a Rimini portò nuove forme di devozione e nuove immagini di santi per gli altari. Tra questi troviamo San Gaetano. Le procedure per la sua beatificazione vennero avviate da Urbano VIII, proprio nel XVII secolo e la proclamazione a santo avvenne nel 1671 da papa Clemente X. E’ ancora oggi venerato come santo della Provvidenza.

Nell’opera qui presente, commissionata dalla famiglia Melchiorri di Santarcangelo originariamente per la chiesa della Santissima Annunziata, san Gaetano veste un abito da chierico con talare nera ed è affiancato da un angioletto che porta un giglio, simbolo di purezza.

A sinistra dell’altare si vede il Monumento funebre che lo scultore santarcangiolese Gaetano Lombardini, stimato allievo del Canova, scolpì nel 1849 in memoria della moglie Anna Franchini.